LE VENERI DI MILOT: DAL MITO ALL’ARCHITETTURA DELL’ENTROPIA
A cura di Massimo Sgroi
Ciò che si ferma è destinato a cadere in polvere. Culture millenarie, imperi apparentemente destinati all’eternità si sgretolano sotto il peso della loro immobilità. Quello che distingue l’area del Mediterraneo da qualsiasi altro luogo della terra è la possibilità costante di operare un continuo scambio/ricambio tra i vari segmenti, tra i vari popoli che su di esso si affacciano. La cultura, così come il mare, è elemento fluido che consente uno scambio di informazioni senza soluzione di continuità, piattaforma interrelazionale che rende i popoli mediterranei tanto diversi eppure affini. E’, nella realtà, il primo Villaggio Globale della storia, laddove la civiltà nasce nel continuo spostarsi di idee da una sponda all’altra. Basta questa semplice constatazione per entrare nel lavoro di Milot, albanese, con l’orgoglio della sua appartenenza ma, anche profondamente mediterraneo; le due installazioni dalle forti connotazioni cromatiche; “L’inganno di Zeus”, dio fallace ed approssimativo o le “Tracce di Mare. Il ritorno di Ulisse” tributo personale all’eroe capace di sfidare sempre e comunque l’inconoscibile sono una attestazione di consapevolezza di una matrice, di riappropriazione di identità fondamentale per la nostra esistenza di uomini contemporanei. D’altronde per Milot il Mediterraneo è l’origine di una rete di informazioni che produce il continuo mutare della cultura. Così si creano i miti, gli dei che, nel loro randagismo, finiscono per essere strati di idee che si accumulano sugli archetipi. I miti platonici ritornano, allora, nella meccanica quantistica esistendo già in quanto luoghi della mente e dell’universo, attendono, come sostengono molti fisici contemporanei, solo di essere rivelati. L’intera installazione delle tele è funzionale a questa idea, la cultura popolare albanese, ma anche quella di molti paesi dell’area, estesa e sublimata metaforicamente attraverso le texture slabbrate dei vestiti tradizionali, si raffrontano con la cultura “alta” della rappresentazione iconica delle statue classiche, monumenti ad una storia mai, per altri popoli, così possente e fondamentale.