LA PITTURA MEDITERRANEA DI MILOT
A cura di Francesco Poli
Per Milot questa importante mostra personale al Maschio Angioino di Napoli è allo stesso tempo un punto di arrivo e un punto di partenza.
Da un lato, infatti, rappresenta per il giovane artista albanese il primo risultato veramente maturo e stilisticamente incisivo di una ricerca ormai abbastanza lunga, che si è progressivamente sviluppata attraverso esperienze di studio, all’Accademia di Brera a Milano, e soggiorni più o meno lunghi in varie città come Londra, Barcellona e soprattutto New York, che sono stati fondamentali per prendere direttamente conoscenza delle più vitali tendenze culturali e per precisare progressivamente l’identità personale del suo linguaggio, inizialmente caratterizzato da ecclettismo a volte troppo disinvolto.
Dall’altro lato, si puo’ dire che si tratti di un punto di partenza, perchè è a Napoli che ha trovato finora le migliori condizioni, materiali e culturali, per lavorare finalmente con una sistematicità inedita. E’ chiaro che tutto questo ha dato i suoi risultati. E’ qui nella città partenopea, con la sua straordinaria ricchezza culturale frutto di stratificazioni e incroci storici millenari, che Milot ha raggiunto una precisa coscienza di cio’ che vuole esprimere nella sua pittura, e cioè il significato profondo dello spirito mediterraneo alla radice della sua esistenza, e come tale fonte di ispirazione in grado di trasformare le proprie visioni soggettive in autentici valori estetici.
Il problema era interpretare, in modo nuovo, vale a dire con inedita sensibilità, la « mediterraneità », senza scivolare in forme stereotipate e luoghi comuni iconografici. L’artista è riuscito a far questo con grande freschezza e intensità, liberando la sua energia pittorica attraverso ampie stesure astratte impregnate di luci e colori, di modulazioni tonali e di contrappunti segnici, dando corpo a suggestioni visive piene di giosa vitalità e di aerea atmosfericità. La sua pittura non ha dirette valenze naturalistiche essendo piuttosto caricata da una singolare intensità immaginativa : il registro degli accordi cromatici, sempre basato su toni fondamentalmente chiari, si sviluppa attraverso una ampia gamma di colori che vanno dal rosa al verdino, dall’azzurro al giallo caldo, dal rosso chiaro al turchese, con piccoli interventi marron, ocra o arancione. Ma altri due aspetti di fondamentale importanza caratterizzano questa impegnativa serie di lavori : si tratta dell’articolazione spaziale dei supporti dei dipinti, e dell’inserimento di citazioni figurativamente precise di immagini di teste che fanno parte del repertorio classico greco romano, ma non solo.
Il primo aspetto ha consentito a Milot di dare un respiro molto più allargato alla sua pittura, nel senso specifico della spazialità fisica, non solo nella dimensione bidimensionale, ma anche, e questa è una trovata inedita, in quella tridimensionale.
Da un lato i dipinti bidimensionali si presentano come dittici, trittici o anche polittici, che si dispiegano sui muri in grandi dimensioni. Le tele accostate possono essere della stessa misura oppure di misure diverse, in modo da creare dell scansioni asimmetriche. Tutti questi lavori si intitolano Angolo mediterraneo e formano nel loro insieme una sorta di viaggio immaginario ai quattro angoli del
« mare nostrum ».
Dall’altro lato, in grandi installazioni come Tracce di mare, ritorno di Ulisse e I miei giocattoli proibiti , ci troviamo di fronte a gruppi di volumi geometrici collocati a terra e a parete, le cui superfici sono ricoperte completamente da interventi pittorici. Nella prima installazione, formata da due parallelepipedi in piedi e da un cubo attaccato alla parete, dove dominano l’azzurro e il blu, il titolo si spiega anche per la presenza di una testa greca barbuta dipinta con molta cura in bianco e nero sulla faccia in alto di uno dei solidi, in una posizione pressochè invisibile, il chè costituisce una sorpresa che rende il lavoro ironicamente enigmatico. Nella seconda installazione,dove i solidi in scena sono cinque tutti di struttura rettangolare ma con forme e volumi diversi, la sorpresa è costituita dall’apparizione su un lato di un parallepipedo del volto di Gesu’ Cristo.
A parte questa sacra eccezione, in tutti gli altri lavori, come si è detto, sono presenti sempre in posizioni abbastanza spiazzanti, immagini di teste classiche maschili o femminili, dipinte in bianco e nero come se fossero direttamente prelevate da un libro di storia dell’arte.
Il collegamento apparentemente incongruo fra citazioni d’arte classica e libera pittura astratta crea un corto circuito estetico efficace e straniante. In effetti, se si riflette un’attimo ci si rende conto che l’accostamento ha una sua logica artistica stimolante, perchè alla fine tutto l’insieme rimanda a una dimensione di valori, della memoria culturale e del presente, profondamente coerente allo « spirito mediterraneo.
Ma l’opera più spettacolare che Milot ha messo in mostra è una installazione molto diversa dalle altre, intitolata Le Veneri di Milot . Si tratta di una superficie di sabbia (di m.7×7) dove sono collocate sette grandi uova in cemento, con le superfici dipint e ricopert di mosaico. Su ciascuna di esse compare il volto di un personaggio famoso : Madre Teresa, Skanderbeg (l’eroe dell’indipendenza albanese contro i turchi), Alessandro Magno, Caravaggio, Dante Alighieri, Giordano Bruno e Maradona. Come è evidente la scelta di questi nomi è quanto mai libera e bizzarra, dove a prevalere decisamente è una dimensione ludica e ironica. Un’opera che forse segnala la possibilità di imprevedibili sviluppi nella ricerca del nostro artista.