LE INTERVISTE DEL DIRETTORE. ANGOLI E CHIAVI: IL MEDITERRANEO DI ALFRED MILOT MIRASHI.
 
  alfred milot mirash per la mostra passepartout 2012

Con la mostra di opere pittore e plastiche proposte negli spazi della “Corte Arte Contemporanea” di Firenze, appena conclusasi, Alfred “Milot” Mirashi ha vissuto un’altra significativa tappa della sua intensa attività artistica di questo scorcio d’anno. Altrettanto degna di nota è, di solo pochi giorni fa, la curatela, insieme all’’ambasciatore Llesh Kola, della collettiva Identità albanese – dove ha anche esposto- ordinata nella Sala Gagliardi di Noto nell’ambito del “Giardino della bellezza 2″ un progetto di Marco Nereo Rotelli con Luisa Mazza; mentre alcuni mesi addietro una sua “chiave” plastica l’ha installata all’ “Open 14″, International Exhibition of Sculptures and Installations, allestita, tra il Lido e l’isola di San Servolo, da Paolo De Grandis e Carlotta Scarpa in occasione della sessantottesima edizione del Festival di Venezia. Alfred Mirashi è nato 42 anni fa a Milot, nel nord dell’Albania, cittadina di cui, un po’ per  riconoscenza un po’ per vezzo, si porta appresso il nome. La sua carriera l’ha costruita prima in patria conducendo i suoi studi al Liceo Artistico di Durazzo e dal 1991, dopo essere sbarcato a Brindisi durante l’esodo del popolo albanese, ha vissuto tra a Napoli, Firenze e a Milano, dove si è diplomato frequentando l’Accademia delle Belle Arti di Brera. Con una borsa di studio ha soggiornato in Inghilterra per poi trasferirsi a New York e quindi fare ritorno in Italia. Attualmente risiede a Firenze. Mirashi  ha esposto la sua prima personale a Milano (1996) e dopo essersi affrancato da ogni figurazione accademica, mediante una ricerca informale che dura un quinquennio, tra il 2000 e il 2003, è rientrato negli ambiti iconici con una intima riflessione incentrata sulla cultura mediterranea, motivo portante delle sue ricerche, dedicandosi alle sculture greche ( si ricordano Le Veneri di Milot già al Maschio Angioino di Napoli nel 2003). Scelta, dunque, Firenze come sua città d’azione, nel corso dell’ultimo quinquennio ha elaborato una sua cifra stilistica riconoscibile nel motivo reiterato della chiave, utilizzata sia nel medium pittorico che nella scultura.

   

M.G. Dunque le chiavi oramai costituiscono la tua firma artistica  proposta anche in “Passepartout”, la tua personale curata da Rosanna Tempestini Frizzi e Carolina Orlandini per la galleria “La Corte” di Firenze.

A.M.M. Le chiavi le inserisco nei miei lavori da più di 4 anni. L’idea è nata in me quasi per caso, ricordando mia nonna, aveva delle chiavi vecchie che lei conservava; ora le ho io in casa mia, a Firenze, appese alle pareti: sono oggetti di curiosità che nascondono una loro bellezza. Un vecchio ricordo in noi tutti, la chiave è un oggetto che si fa simbolo riconoscibile internazionalmente. L’idea è di aprirsi l’uno all’altro. La società di oggi, senza ritorno, rischia di chiudersi in se stessa. Invece bisogna aprire e aprirsi; vivere senza pregiudizi, uno accanto all’altro, pur con idee e religioni e razze differenti. É la logica che attraversa il sistema artistico nel mondo di oggi, specchio dell’intera società.

M.G. È per questo giustificazione socio-culturale che hai fatto della chiave la tua cifra ricorrente che caratterizza i lavori degli ultimi anni?

A.M.M. Adesso la mia pittura, ma anche la scultura, è tutta concentrata sulla ricerca che prevede la presenza delle chiavi. Per me sono un simbolo di libertà e come dicevo prima delle aperture alle nuove culture. Le sento mie e perciò le contestualizzo nell’ambito dell’arte del Mediterraneo, che mi appartiene culturalmente.

M.G. Del tuo Mediterraneo, oltre al nome Milot, cosa ti porti dentro? Quali i fattori che stimolano la tua arte? la tua origine, la tua gente, i modi di vivere, o ricordi della terra che hai lasciato 20 anni fa?

A.M.M. Il mio nome d’arte Milot  è il segno d’affetto per la mia città d’infanzia dove ho vissuto per quasi 20 anni, che trattengo nel sentimento come gli anni più belli della mia vita ovviamente spensierati. Milot è una piccola cittadina al centro-nord dell’Albania; ricordo sempre che lì ogni domenica si faceva commercio di qualsiasi cosa, si riunivano cittadini da tutto il paese, con i loro vestiti carichi di colori, era una armonia cromatica che è rimasta sempre nella mia mente, anche perché le nostre madri erano cosi brave a fare dei vestiti semplici con decorazioni uniche al mondo anche sgargianti. Quei colori li rammento quando li uso in qualche frammento sui miei quadri, stendendoli sulla tela. Per me il colore è vita.

M.G. Oramai però sei pienamente occidentalizzato, Firenze è la tua città adottiva

A.M.M. Non cambia molto nella percezione che ho tra il vivere in Italia e le mie origini. Un elemento di somiglianza tra la mia gente e gli italiani è che nel Mediterraneo si trova sempre gente ospitale con cui ti relazioni facilmente, chiacchieri amabilmente ed io sono un “chiacchierone”, mi piace molto parlare di tutto e con tutti, arte, politica, sport. Nei nostri popoli è facile creare un rapporto umano. Dalla mia terra porto con me  i segni dell’educazione familiare che spero di trasmettere anche nella mia famiglia, a mia moglie a mio figlio Gerard – e il prossimo è in imminente arrivo-, che vivono con me a Firenze.

M.G. Riscontro nel tuo modo di porti aspetti non distaccati tra la tua vicenda vita artistica e il tuo privato

A.M.M. Nella vita, specialmente quella di tutti i giorni, anche la famiglia mi aiuta molto. Mi sento bene ed  è piacevole, quando dipingo, avere accanto talvolta mio figlio, il piccolo Gerard, che mi “aiuta” a dipingere; mi sporca tutto lo studio con i colori. E poi anche l’abitazione con lui “pittore”  è diventata una piccola galleria d’arte.

M.G. Come vivi le relazioni con il sistema, innanzitutto con il  mercato e i mercanti dell’arte?

A.M.M. Ho abbastanza e buoni rapporti in tal senso. Soprattutto con il collezionismo, che oggi è diffuso un po’ in tutta l’Italia. Ho collezionisti che mi seguono sia in Campania, nell’area di Napoli, che in Lombardia. Mi piace aver con loro relazioni di lavoro: perché conoscono molto bene l’arte contemporanea e discutono sulle mie opere, mi ascoltano attentamente e il più delle volte hanno piacere ad invitarmi per farmi vedere le loro collezioni d’arte.

M.G. Con quali gallerie o con che situazioni di mercato dell’arte hai collaborazioni.

A.M.M: Ormai vivo in Italia da 20 anni e a partire dai tempi di Brera e dal mio lungo peregrinare sino a Firenze ho acquisito, in questi due decenni, rapporti di lavoro più o meno duraturi con diverse gallerie in Italia, in questo momento ho un contratto con la galleria la Corte dove ho esposto in queste ultime settimane, ma anche in altri paesi. Ho lavorato con tante gallerie d’arte in molto città europee e d’oltreoceano. In questo momento lavoro anche con Peg Alston Fine Arts, una galleria di New York, e Infantellina Contemporary, a Berlino. Pure ho prodotto con contratti che mi hanno legato a società di investimenti in arte, per un po’ d’anni ho avuto commissioni da Arteinvest. Ora, ad esempio, ho avviato contatti con la società Valartes e spero con loro di impostare tanti progetti in futuro.

M.G. Le tue caratteristiche espressive propongono il superamento della conflitto tra figurazione e non figurazione. Le tue opere volgono consapevolmente verso il fare artistico della contemporaneità e altrettanto poni attenzione alle dinamiche dell’odierna comunicazione.

A.M.M. Oramai i più affermati artisti internazionali esprimono con diversi medium un linguaggio che flessibilmente opta ora per la figurazione ora per la non figurazione. Io sento di appartenere a questa generazione artistica. Ad osservare la serie di mie opere pittoriche intitolate  Angolo Mediterraneoesprimo, con linguaggi solo apparentemente contrapposti invero complentari, tutta la cultura nostra, ch’è mediterranea da sempre pronta ad accogliere e a fare propri i diversi linguaggi. In questo clima mi sono formato, ho vissuto e vivo adesso. La nostra storia è un miscuglio di lingue che si sono evolute integrandosi e sintetizzandosi. Connubi plurimi di diverse culture che insieme creano un identità già da diversi secoli.

M.G. Quindi per te i due linguaggi più che possono devono coesistere.

A.M.M. Mi verrebbe da dire che “miscelare” sapientemente insieme figurazione e astrazione soprattutto cromatica, non è una nuova forma di maniera, ma quasi un dovere artistico della propria identità culturale; perché vivo congiuntamente tra colori vivi mediterranei che si astraggono entro cui campeggiano tante icone simbolo o allegoriche.

M.G. Cioè ti fai interprete, tra l’altro, dei segni culturali dell’area geografiche di appartenenza. Allora ti chiedo quanto la tua “mediterraneità”, tutt’altro che convenzionale, è importante per la tua vena creativa.

A.M.M. Come è stato scritto in alcune testimonianze critiche sul mio lavoro, la mia preoccupazione è prioritariamente quella di interpretare, in modo, diverso, credo nuovo, attraverso la mia sensibilità, un senso “mediterraneità”. Certo, mi rendo conto che in tale orientamento è facile cadere nel retorico oppure in formule stereotipate o scontati luoghi comuni anche sotto il profilo iconografico. Spero di essere riuscito a proporre il tema con opere in cui esprimo tutta la mia verve pittorica o, quando accade, plastica, consegnando alle forme, alle icone suggestioni autentiche e alle stesure colore, tendenzialmente astratte quelle tonalità, quei bagliori di luce percepibili come calore e vivacità e fervore del clima mediterraneo.

M.G. Annoto un tuo sempre maggiore interesse verso l’opera plastica, anche nello spazio della “Corte” fiorentina l”installazione Passepartout, che ha sapori neopop.

A.M.M. Amo da sempre la scultura, unica al mondo nella cultura greco-romana e poi da lì rinascimentale e via discorrendo sino al monumentalismo Otto e Novecentesco. La si trova in ogni angolo e piazza di ogni città mediterranea. Per noi artisti la percezione delle opere plastiche specie quelle monumentali è un momento magico.Vivere ad esempio qui a Firenze dentro una città ricolma di segni storico-artistici non finisce mai di sorprendermi, ogni giorno scopro qualche testimonianza plastica, sia pur solo decorativa in qualsiasi luogo: è  per me una rivelazione infinita che avverto come senso di durevolezza dell’opera plastica. Un segno eterno. E perciò mi confronto con il mio operare sia con rappresentazioni che riprendono soggetti classici rielaborati come nelle serie delle Veneri, sia nel motivo della chiave, oldenburghiane è stato scritto, che è composta in  ferro, alluminio, vinavil, gesso, juta, schiuma e colore.

M.G. Ravviso che la tua  creatività vive un aggiornamento costante.

A.M.M. Le mie idee, è vero, nascono nella vita quotidiana, per esempio i portoni degli edifici dell’area mediterranea così grandi, mi attraggono. E nelle chiavi di volta delle cornici delle loro porte sono poste spesso delle sculture, teste, che richiamano la nostra cultura, il repertorio mitologico, oltremodo simboliche. Ecco così costruisco le mie chiavi utili per aprire questi grandi portoni, sempre la chiave che apre  e disvela…

M.G. Senti autentica la tua ricerca?

A.M.M. La ricerca personale che cerca ogni artista di oggi, molto volte, viene in modo casuale. Specificamente lo avverto come un unire insieme la vita artistica e la curiosità intellettuale di tutti giorni; come ti ho detto io ogni giorno aggiungo qualcosa nelle mie idee. Non so, e non sta a me dire, se ho trovato autenticità nello stile dei quadri e delle mie sculture; certo vi si ritrova la mia personalità. Io, sarò banale, ma mi sento unico al mondo e lo dico con molto sicurezza e lo sento nei i miei lavori che presento al pubblico con l’orgoglio che accompagna le proprie “creature”, come è accaduto e accade e accadrà per tutti gli artisti del mondo, in qualsiasi luogo e tempo della storia dell’arte.

M.G. Come sempre ti trovo positivo e propositivo.

A.M.M. É una cosa bella per ogni artista sentirsi positivo davanti alla vita e al futuro; anche perché ti accorgi che le strade si cominciano ad aprire dopo tanti sacrifici e tanto lavoro e ricerca che mi hanno impegnato negli ultimi 10 anni.

M.G. Ottimista malgrado la crisi.

A.M.M. L’arte in Italia e in Europa, come si sa, in questo momento e negli ultimi anni avverte la crisi economica. E ciò influenza gli stati d’animo. Tuttavia vediamo che si organizzano per fortuna ancora tante mostre, piccole e grandi, in qualsiasi città. Lo trovo molto coraggioso e quasi quasi u antitodo contro la depressione. Non sempre gli artisti capiscono bene come funziona la finanza, sopravvivono. Per i più è importante creare, a prescindere.

M.G. Un breve consuntivo della mostra alla galleria “La Corte”?.

A.M.M. Sono soddisfatto, come lo è la proprietà. Malgrado la crisi si è venduto. Poi bene anche la chiusura  con l’ evento al Teatro delle spiagge a Firenze, una performance collegata a Passepartout.

M.G. Prossimi progetti

A.M.M. Progetti? Prima di tutto: dipingere tutti giorni e altrettanto modellare. Ho tanti progetti per mostre sia in Italia che a Berlino e New York città a cui aspirano tutti gli artisti giovani e con delle ambizioni. Non amo anticipare i tanti progetti che vorrei realizzare in futuro e penso che piano piano riuscirò a portarli a termine: li farò con grande piacere perché mi sento molto sicuro artisticamente per confrontarmi senza timori.

M.G. Almeno concedi a monitorARTI un’anticipazione.

A.M.M. Certamente in agosto sarò al Barbican di Londra per una mostra  di Vincenzo Sanfo, che in qualità di Vicepresidente del Comitato Olimpico per l’ Arte, di Londra 2012, curerà le partecipazioni internazionali nella rassegna “Olympic Fine Arts”, organizzata dal Comitato Olimpico Cinese e Londinese che ha per tema: “Il Tamigi, la Grande Muraglia abbracciano il mondo”.

Un invito che proietta Alfred “Milot” Mirashi, ancora una volta, sullo scenario artistico internazionale, che è proprio del suo nomadismo.

Intervista del 17 maggio 2012

Massimo Guastella

Fonte: Monitorarti


Translate »